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Comodato della casa familiare

Aggiornamento: 15 gen 2021

Il comodato è il contratto disciplinato dagli artt. 1803 – 1810 cod. civ., essenzialmente gratuito, in forza del quale una parte (cd. comodante) consegna ad un’altra parte (cd. comodatario) la disponibilità di una cosa mobile e/o immobile affinché se ne serva per un tempo e/o un uso determinato con l’obbligo di restituire la stessa cosa ricevuta. Per “essenzialmente” deve intendersi che la gratuità caratterizza l’esistenza stessa del rapporto di comodato. Se vi fosse onerosità (pagamento di un prezzo/corrispettivo, anche modesto) il negozio acquisterebbe natura di locazione. Ovviamente, ciò non vale per il rimborso o l’addebito dei costi d’uso (utenze, manutenzione etc..). Tralasciando opinioni minoritarie, si può dire che il codice civile disciplina due “forme” del comodato, quello propriamente detto, regolato dagli artt. 1803 e 1809 e il c.d. comodato precario, al quale si riferisce l’art. 1810 c.c., sotto la rubrica “comodato senza determinazione di durata”.Nella prima ipotesi, comodato propriamente detto, il contratto è vincolato alla durata pattuita oppure alla durata desumibile dall’uso convenuto (ad esempio, resta nel mio appartamento fino a quando non cesseranno i lavori di ristrutturazione della tua casa). Il comodante non può chiedere la restituzione della cosa consegnata nel corso del termine e/o dell’uso convenuto salvo che sopravvenga un impreveduto ed urgente bisogno (art. 1809, comma 2, cod. civ.).Di converso, l’art. 1810 cod. civ. disciplina il comodato cd. precario cioè senza previsione di durata e/o di scopo. Esso è caratterizzato dalla facoltà del comodante di esigere la restituzione immediata a semplice richiesta.Il comodato è un contratto a forma libera e ciò anche quando esso sia ultranovennale e abbia ad oggetto beni immobili (LUMINOSO). Infatti, l’art. 1350 cod. civ. (atti che devono farsi per iscritto) non lo prevede.Orbene.Particolare criticità ha presentato il comodato di un immobile concesso da un terzo quale abitazione familiare. L’esempio classico è il genitore che consente al figlio – ed al relativo coniuge – di abitarvi a tempo indeterminato.Il problema più volte presentato all’attenzione della Suprema Corte di Cassazione attiene alla facoltà del comodante di ottenere o meno la restituzione a semplice richiesta ai sensi dell’art. 1810 cod. civ. in tema di comodato cd. precario.Tralasciando le varie opinioni discordanti, la questione sembra risolta dalle due pronunce della Cassazione Civile a Sezioni Unite n. 13603 del 2004 e n. 20448 del 2014 le quali, a mio parere, correttamente, optano per l’applicabilità dell’art. 1609, II comma, cod. civ. e, pertanto, per l’impossibilità per il comodante di recedere immediatamente dal rapporto, salvo impreveduto ed urgente bisogno. Trattasi infatti di contratto sorto per un uso determinato e dunque, come è stato osservato, per un tempo determinabile per relationem in considerazione della destinazione a casa familiare contrattualmente prevista.Dunque, fino a quando l’immobile resta adibito a casa familiare del comodatario, il comodante non può recedere, salvo che sopraggiunga un bisogno urgente di riottenere l’immobile, non prevedibile all’inizio del comodato.Sul punto, pur in breve, è solo il caso di evidenziare che il bisogno deve essere serio, non voluttuario, né capriccioso o artificiosamente indotto. Pertanto non solo la necessità di uso diretto, ma anche il sopravvenire imprevisto del deterioramento della condizione economica, che obiettivamente giustifichi la restituzione del bene anche ai fini della vendita o di una redditizia locazione del bene immobile, consente di porre fine al comodato anche se la destinazione sia quella di casa familiare (Cass. Civ. SSUU n. 20448/2014).Suscita particolare interesse il caso in cui sopraggiunga la crisi di coppia del comodatario. Cioè, cosa accade se i due coniugi – di cui uno è il comodatario – si dovessero separare?Salvo vagliare attentamente il caso concreto e, per di più, l’obiettiva intenzione delle parti al tempo del contratto di comodato, la giurisprudenza riafferma, pur con qualche incertezza, la persistenza del comodato non consentendo al comodante di recedere dal contratto ai sensi dell’art. 1610 cod. civ., qualora sia intervenuto un provvedimento di assegnazione della casa coniugale in favore del coniuge collocatario della prole. Il provvedimento di assegnazione in favore del coniuge affidatario di figli minorenni o convivente con figli maggiorenni non autosufficienti senza loro colpa, emesso nel giudizio di separazione o di divorzio, non modifica la natura ed il contenuto del titolo di godimento sull’immobile, ma determina una concentrazione, nella persona dell’assegnatario, di detto titolo di godimento, che resta regolato dalla disciplina del comodato, con la conseguenza che il comodante è tenuto a consentire la continuazione del godimento per l’uso previsto nel contratto, salva l’ipotesi di sopravvenienza di un urgente ed impreveduto bisogno, ai sensi dell’art. 1809 c.c. (Cass. Civ. SS.UU. n. 13603/2004).Di converso, in caso di assenza di un provvedimento di assegnazione della casa familiare in favore del coniuge collocatario della prole, cesserebbe la funzione del comodato di soddisfare le esigenze della famiglia del comodatario, con la conseguenza che il comodante potrebbe recedere e pretendere la restituzione immediata dell’immobile. (“….essendo venuta meno la convivenza ed in mancanza di un provvedimento giudiziale di assegnazione del bene oggetto di comodato, è venuto meno anche lo scopo di quest’ultimo” – Cass. Civ. n. 2103/2012). Pronuncia che pare avallata anche dalla citata Sezione Unite n. 20448 del 2014 con la quale la Suprema Corte richiama gli articoli 337 bis e segg. del codice civile (dopo la modifica di cui D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. 154; già art. 155 e segg. c.c.) quale strumento normativo utile al Giudice del caso concreto a comprendere la sopravvivenza o il dissolversi delle necessità familiari legittimanti l’assegnazione della casa familiare e quindi il perdurare della fattispecie contrattualmente disegnata.



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